giovedì 14 giugno 2012

I processi di pensiero di Einstein


Il pensiero scientifico non dipende da una folgorazione divina la soluzione imprevista di un problema, ma da un processo mentale di riorganizzazione dei dati già acquisiti. Gli studi recenti dimostrano che il pensiero scientifico non è qualche cosa di eccezionale, ma un insieme di strategie e fenomeni che si verificano nel cervello, i quali possono essere potenziati anche in quegli individui in cui non sono ancora pienamente realizzati.
Albert Einstein dette una testimonianza precisa e preziosa dei suoi processi di pensiero, rispondendo al matematico Jacques Hadamard che stava conducendo un’indagine sulla creatività dei matematici:
Caro collega,
qui di seguito cerco di rispondere brevemente alle vostre domande per quanto mi è possibile. Io stesso non sono soddisfatto di queste risposte e desidererei rispondere ad altre domande se credete che ciò possa avere qualche vantaggio per il lavoro interessante e difficile che avete intrapreso.
(A). 
Non sembra che le parole o il linguaggio, sia scritto che parlato, abbiano un qualche ruolo nel meccanismo del pensiero. Le entità psichiche che sembrano servire come elementi del pensiero sono certi segni e immagini più o meno chiare che possono essere riprodotte e combinate « volontariamente ».
Naturalmente c’è una certa connessione tra questi elementi e i concetti logici rilevanti. È chiaro pure che il desiderio di arrivare finalmente a dei concetti logicamente connessi è la base emotiva di questo gioco piuttosto vago con gli elementi summenzionati. Ma da un punto di vista psicologico, questo gioco combinatorio sembra essere la caratteristica essenziale del pensiero produttivo: prima c’è qualche connessione con la costruzione logica a parole o altri tipi di segni che possono essere comunicati ad altri.
(B). 
Nel mio caso gli elementi summenzionati sono del tipo visivo e qualcuno del tipo muscolare. Le parole convenzionali o altri segni devono essere ricercati con fatica solo in un secondo stadio, quando il suddetto gioco associativo è sufficientemente stabilizzato e può essere riprodotto a volontà.
Prima una forma di pensiero visivo e poi la traduzione dei suoi prodotti in parole o altri segni convenzionali (formule, equazioni, ecc.) per comunicare quei prodotti agli altri individui. Questo processo è ben delineato nell’Autobiografia di Einstein: « Per me non c’è dubbio che il nostro pensiero proceda in massima parte senza far uso di segni (parole), e anzi assai spesso inconsapevolmente ». I segni intervengono nella comunicazione: « Non è affatto necessario che un concetto sia connesso con un segno riproducibile e riconoscibile coi sensi (una parola); ma quando ciò accade, il pensiero diventa comunicabile ».
I processi di pensiero di Einstein furono un argomento centrale del libro di Wertheimer già ricordato a proposito di Gauss. Wertheimer era un intimo amico di Einstein: entrambi professori a Berlino, si trasferirono negli Stati Uniti durante il nazismo. Wertheimer si era basato, per spiegare il pensiero di un Gauss o di un Galileo, su un’analisi retrospettiva. Per il pensiero di Einstein attinse dalla testimonianza del suo stesso « produttore »: « Furono giorni meravigliosi quelli, cominciati nel 1916, in cui ebbi la fortuna di sedere assieme a Einstein per ore e ore, soli nel suo studio, e di udire da lui la storia del drammatico svolgimento di pensiero che culminò nella teoria della relatività. Nel corso di quelle lunghe discussioni feci a Einstein domande dettagliate riguardo gli eventi concreti del suo pensiero. Egli me li descrisse non in modo indeterminato, ma discutendo con me la genesi di ciascun problema».
Nella conversazione di Wertheimer con Einstein si ripresentano le affermazioni sul rapporto pensierolinguaggio (« Io penso assai di rado con le parole: prima ho un pensiero e solo in seguito posso cercare di esprimerlo a parole ») e sulla visualizzazione dei problemi («[.,.] durante tutti quegli anni ci fu la sensazione di una direzione, dell’andare direttamente verso qualcosa di concreto. Naturalmente è molto difficile esprimere a parole quella sensazione [... ] naturalmente dietro a una tale direzione c’è sempre qualcosa di logico, ma in me è sempre presente sotto forma di una specie di sguardo generale; in un certo senso, in modo visivo »).
L’interpretazione che Wertheimer dette del « pensiero che portò alla teoria della relatività » è stata di recente criticata per essere stata più una ricerca « forzata » per convalidare la teoria di Wertheimer stesso sul « pensiero produttivo » che una ricostruzione storica corretta. Wertheimer delineò il processo di pensiero di Einstein come una sequenza di ristrutturazioni concettuali fino alla introduzione di una nuova « visione » del problema determinata dal ruolo primario assunto da un elemento precedentemente secondario (la velocità della luce come costante). Esso sarebbe divenuto la chiave per riconsiderare in una nuova struttura concettuale (la teoria della relatività) tutti gli altri elementi della fisica classica (spazio, tempo, movimento, ecc.).
Mecacci L., “Identikit del cervello”, Laterza, pag. 115

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